Consumo del suolo in Italia: nel 2017 il cemento cola su intere zone a rischio idrogeologico
La quinta edizione del Rapporto ISPRA fornisce dati allarmanti. Maggiormente colpite le coste e i bacini idrici. Un quarto del consumo riguarda aree sottoposte a vincolo paesaggistico.
Colate di cemento su aree vincolate per la tutela del paesaggio e lungo le coste. Un consumo del suolo inarrestabile e senza scrupolo, persino nelle zone a rischio dissesto idrogeologico. È sconfortante il dato che emerge dall’edizione 2018 del Rapporto sul consumo di suolo in Italia di ISPRA, la quinta dedicata a questo tema. Nel solo 2017, per farsi un’idea, è come se si fosse costruita un’intera piazza Navona ogni due ore. Andando avanti così, nello scenario peggiore tra quelli ipotizzati, entro il 2050 il consumo del suolo potrebbe essere pari a 8mila km2: sarebbe come edificare, insomma, 15 nuove città ogni anno.
I dati del Rapporto ISPRA-SNPA sul “Consumo di Suolo in Italia 2018” sono stati presentati alla Camera dei Deputati. In questa nuova edizione, l’Istituto aggiorna le informazioni e approfondisce gli studi analizzando anche il territorio compromesso dai cantieri all’interno delle aree vincolate. Il Rapporto fornisce un quadro aggiornato in merito ai processi di trasformazione del nostro territorio grazie alla cartografia aggiornata del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA): con questo lavoro, ISPRA, in collaborazione con le Agenzie per la protezione dell’ambiente delle Regioni e delle Province Autonome, realizza un approfondito monitoraggio sfruttando le più dettagliate informazioni disponibili e, insieme, le più avanzate tecnologie.
Il Rapporto analizza l’evoluzione del consumo di suolo all’interno di un più ampio quadro delle trasformazioni territoriali ai diversi livelli, attraverso indicatori utili a valutare le caratteristiche e le tendenze del consumo e fornisce nuove valutazioni sull’impatto della crescita della copertura artificiale, con particolare attenzione alla mappatura e alla valutazione dei servizi ecosistemici del suolo.
In particolare, esaminando quanto accaduto nel 2017, emerge un dato allarmante: nonostante la crisi economica, il consumo del suolo italiano procede senza sosta. Persino nelle aree più a rischio. I cantieri e le nuove infrastrutture, che attualmente coprono più di 3mila ettari, vanno a insediarsi nelle zone protette e a rischio idrogeologico, arrivando a invadere addirittura le aree vincolate per la tutela del paesaggio come coste, laghi, fiumi, montagne e vulcani. Il territorio più minacciato è quello delle coste e dei bacini idrici. Qui il cemento ricopre oltre 350 mila ettari: parliamo dell’8% della loro estensione totale (un dato persino superiore alla media nazionale, pari al 7,65%). Nel 2017 l’Italia ha perduto una superficie naturale di ben 52 chilometri quadrati. Di questi, quasi il 25% riguarda aree soggette a vincoli paesaggistici. I nuovi edifici, costruiti soprattutto nelle regioni settentrionali, costituiscono il 13,2% del suolo perduto nel 2017.
Per quanto riguarda le zone a rischio dissesto idrogeologico, lo scorso anno il 6% del consumo del suolo è avvenuto in aree a pericolosità di frana e più del 15% nelle zone caratterizzate da una pericolosità idraulica media. Per non parlare delle aree protette, con quasi 75mila ettari di suolo ormai completamente impermeabile. La porzione di territorio maggiormente saccheggiata dall’azione umana, nel 2017, è stata quella del Parco nazionale dei Monti Sibillini, con più di 24 ettari di vegetazione completamente spazzata via dal cemento. A seguire, il Parco nazionale del Gran Sasso e i Monti della Laga (24 ettari). Analizzando l’altitudine del suolo consumato, si nota come questo riguardi soprattutto zone al di sotto dei 300 metri. Il fenomeno colpisce con maggiore intensità le aree costiere, le zone a pericolosità idraulica e le aree a vincolo paesaggistico (coste, laghi e fiumi). A livello geografico, è il Centro-Nord a subire i danni maggiori. La velocità di consumo del suolo è pari a 2 metri quadrati al secondo.
Il prezzo di questo consumo di suolo ammonta a 1 miliardo di euro, considerando in questa cifra i danni provocati dalla mancata capacità di stoccaggio del carbonio e di produzione agricola e legnose degli ultimi 5 anni. Un prezzo che lievita a circa 2 miliardi di euro all’anno se si prende in considerazione la mancata capacità del suolo di garantire una regolazione del ciclo idrologico, dei nutrienti, del microclima, un miglioramento della qualità dell’aria e una riduzione dell’erosione.
Guardando al futuro, e prendendo come termine il 2050 (anno stabilito per l’azzeramento del consumo del suolo), si prospettano tre differenti scenari. Il primo, che considera un’eventuale approvazione della legge per ora ferma in Senato associata a una riduzione della velocità di consumo del terreno, prevede un consumo di circa 800 km2. Il secondo, che analizza l’ipotesi in cui si mantenesse la velocità di consumo registrata nell’ultimo anno, prevede un utilizzo di terreno superiore a 1600 km2. Il terzo, che considera l’infausta ipotesi in cui la velocità di consumo toccasse i valori medi, o addirittura massimi, raggiunti negli ultimi decenni, prevede che entro il 2050 si possa arrivare a consumare più di 8mila km2 . Parliamo di una superficie paragonabile a quella dei 500 comuni più grandi a livello nazionale, dal Lazio alla Basilicata. Un dato sconvolgente, che impone di dedicare la massima attenzione al problema del consumo del suolo in Italia.