Le cause della violenta fase di maltempo di fine ottobre
Il nostro meteorologo Flavio Galbiati ha analizzato le dinamiche e le cause della violenta fase di maltempo che ha interessato l’Italia a fine ottobre.
In questi giorni le autorità regionali stanno diffondendo le prime stime dei gravi danni provocati dall’ondata di maltempo di fine ottobre, che mostrano quali siano gli enormi costi previsti per il ripristino e le verifiche delle infrastrutture coinvolte (strade, reti elettriche e telefoniche, edifici in aree costiere e portuali, impianti di risalita, …). Non è invece oggettivamente quantificabile il danno al patrimonio naturale e agli ecosistemi, con boschi abbattuti che hanno reso quasi irriconoscibili interi versanti alpini, litorali rimodellati dal vento e dalle onde di marea. Ma, oltre all’entità dei danni e al numero delle vittime, è anche l’analisi degli eventi meteo delle giornate dal 27 al 30 ottobre a confermare la violenza della fase di maltempo.
Perché è stata una fase di maltempo eccezionale?
Un fattore determinante per descrivere la potenza dei fenomeni che ci hanno colpito può essere identificato nell’intensità del ciclone che si è isolato sabato 27 ottobre 2018 nel Mediterraneo occidentale, originatosi da una saccatura protesa dal Nord Europa. Questo vortice ciclonico ha dato origine agli intensi venti meridionali che, carichi di umidità, hanno scaricato ingenti quantitativi di pioggia domenica 28 ottobre soprattutto sulle Alpi orientali e nella giornata del 29 in molte zone del Centro-Nord e delle Isole. Proprio lunedì 29 la depressione si è rinforzata con l’afflusso di aria più fredda, e il suo minimo ha raggiunto in breve tempo un valore eccezionalmente basso, circa 980 hPa. Con questa massima intensità il ciclone ha poi attraversato le regioni settentrionali, accompagnato da raffiche violentissime da un esteso fronte temporalesco capace di produrre centinaia di migliaia di fulmini in poche ore. Di rilievo anche il livello quasi record dell’acqua alta a Venezia (156 cm), causato dai forti venti di Scirocco.
L’ondata di #maltempo dei giorni scorsi ha colpito tutta Italia, causando ingenti danni e 11 morti. #Liguria e Nord-Est le zone più esposte, con accumuli a fondo scala (>350mm). Nei plotting i dati della nostra rete pic.twitter.com/6cJpAOvww7
— MeteoNetwork (@meteonetwork) October 31, 2018
Dalle analisi emerge anche come la particolare sequenza degli eventi meteorologici abbia contribuito alla strage di alberi nelle Alpi orientali, dove si stima che il legname abbattuto ammonti ad almeno 2 milioni di metri cubi. Le prime giornate dell’evento in esame infatti hanno visto piogge forti e insistenti (con accumuli in 48 ore fino 400/600 mm), in grado di rendere saturo il terreno e quindi di indebolire la resistenza degli apparati radicali delle piante nei confronti di raffiche a 120/150 km/h (ma con picchi anche superiori, localmente prossimi ai 200 km/h).
Si tratta di velocità del vento che molto raramente vengono raggiunte alle nostre latitudini se non all’interno di una tromba d’aria, fenomeno che però non si è verificato in questa occasione, nonostante sia comparso spesso nei titoli dei giornali e dei siti web. Inoltre, nei caratteristici boschi di abete rosso, tipici dei paesaggi dolomitici, la densità e la notevole altezza degli alberi potrebbero aver aggravato le conseguenze del vento, producendo un “effetto domino” in grado di estendere ulteriormente l’area boschiva interessata dalla caduta delle piante o dal loro danneggiamento.
Colpa dei cambiamenti climatici?
Episodi di questa portata non possono non farci riflettere sull’eventuale responsabilità dei cambiamenti climatici nella loro genesi o nella loro forza. E’ infatti opinione condivisa dagli scienziati che il Global Warming stia modificando in modo significativo la probabilità di accadimento degli eventi meteo estremi, tra cui gli episodi alluvionali e quelli di siccità. L’incremento della temperatura media infatti non è solo in stretta connessione con l’incremento dell’intensità e della frequenza delle ondate di caldo, ma mette a disposizione dell’atmosfera una maggiore quantità di energia che deriva sia dal surplus di calore che dall’aumento del vapore acqueo in essa contenuto. L’effetto che si ottiene, secondo il Professor Claudio Cassardo dell’Università di Torino, può essere paragonato a quello del doping: come un atleta che si dopa non ha la certezza di vincere una determinata gara, ma certamente ha una maggiore probabilità di vincere gare rispetto a uno di pari livello non dopato, così in un’atmosfera “dopata” gli eventi meteo estremi hanno una maggiore probabilità di verificarsi.
Anomalie climatiche e aggravanti
Ma tornando all’evento in questione, si possono individuare alcune anomalie, tipiche del nuovo corso climatico, che hanno contribuito all’intensità dei fenomeni riscontrati. Innanzitutto il caldo fuori stagione di questo inizio di autunno, con temperature ben al di sopra della norma nelle settimane precedenti l’evento (in questo contesto è bene ricordare che in Italia e nell’intera Europa, stiamo vivendo l’anno più caldo degli ultimi 60 anni, secondo i dati di Meteo Expert).
In secondo luogo l’anomalia termica delle acque superficiali del Mediterraneo, un fattore questo che ha un ruolo ormai accertato nel favorire gli episodi alluvionali in autunno, come le alluvioni lampo (flash flood) di cui purtroppo la cronaca ci racconta anche in questi giorni.
Infine un ruolo di rilievo nell’aggravare le conseguenze del maltempo è stata senza dubbio l’azione di blocco prodotta da un’area di alta pressione persistente sui Balcani e sull’Europa orientale, che ha rallentato il moto della perturbazione, che invece di dirigersi verso est si è soffermata più a lungo sopra le tiepide acque del Mediterraneo, acquisendo energia e determinando precipitazioni più insistenti. Anche la traiettoria percorsa dal ciclone, che dal Tirreno si è diretto verso nord attraversando così la regione alpina, è stata una conseguenza della configurazione barica appena descritta.
E’ interessante anche notare come proprio in queste ore si registra un’anomalia simile, ma ancora più accentuata: un promontorio anticiclonico colmo di aria mite che si spinge dal Mediterraneo orientale fino alla Russia e alla Scandinavia, con valori termici al suolo fino a 10 gradi oltre la media. Questa particolare situazione potrebbe essere a sua volta inquadrata in una teoria la cui attendibilità sta crescendo tra gli studiosi. In sintesi, l’accelerato riscaldamento dell’Artico sarebbe la causa principale delle anomalie della circolazione atmosferica nel nostro emisfero, favorendo anche queste situazioni di blocco. Le correnti a getto infatti sono attivate dal contrasto tra l’aria fredda in discesa dall’Artico e l’aria calda che risale dall’Equatore. Maggiore è il gradiente termico in direzione nord-sud, più forza hanno le correnti. Ma questa differenza si sta attenuando in quanto l’Artico si sta riscaldando circa il doppio rispetto al resto del pianeta. La corrente a getto quindi tende a rallentare la sua velocità e ad avere oscillazioni più ampie in senso meridiano, favorendo quindi le incursioni di masse d’aria sub-tropicale verso nord.
In conclusione, l’episodio di maltempo verificatosi tra il 27 e il 30 ottobre, classificabile come eccezionale con riferimento alla climatologia dei decenni passati, è stato molto probabilmente influenzato dai cambiamenti climatici in corso. In futuro una valutazione più precisa ce la potrà fornire un nuovo ramo della ricerca in campo meteo-climatico: la “scienza dell’attribuzione”. L’evoluzione della modellistica infatti permetterà a breve di quantificare l’influenza del cambiamento climatico sulle situazioni atmosferiche in grado di portare condizioni meteorologiche estreme. Una prima applicazione pratica, realizzata dagli esperti di modellistica dell’università di Oxford, ha permesso di stimare che i cambiamenti climatici hanno più che raddoppiato la probabilità del verificarsi dell’intensa ondata di calore che si è verificata la scorsa estate nell’Europa settentrionale.